fotocamera 186

l’altro giorno mi è venuta in mano questa foto, peraltro di qualità orribile.
ritrae la vecchia Monster 600 di Paolino e la mia sfruttatissima Hornet-S  e porta in dote un famoso aneddoto.
eravamo al Mugello, parecchi anni fa ad aprile, che faceva ancora freschetto, a vedere i test Ducati Superbike.
c’eravamo portati tutto da casa, da buoni genovesi: focaccia con cipolla, salame di Sant’Olcese, vino bianco dell’entroterra savonese, bicchieri colorati dell’ikea, coltellaccio e tovaglioli di carta.
acqua niente.
all’una, sole della madonna che quando sei ancora vestito "da inverno" ti scortica, con conseguente sete bagascia.
andiamo al bettolino e l’oste ci dice "o acqua brillante o hohahola, un mi rimane null’altro"
la sciuèps notoriamente mi lega la mandibola provocandomi il vomito.
lui fa "dai allora prendiamo due bottigliette di coca"

allora inizio a menarla che la coca-cola è un paciugo, non disseta, è prodotta da una multinazionale, è simbolo dell’imperialismo americano e pallevarie.
Paolino ne prende due e inizia a tirarmi frecciate:
"o belìn, meglio morire di sete, ti stai disidratando per seguire la tua linea, tra poco toccherà portarti a braccia…"
eccetera…
indi per cui ne accetto un sorso.
lui mi fotografa, mostra la foto a tutti e mi chiama "imperialista" per il resto della giornata.

(quella foto l’ho persa, però…)

buzzbomb from pasadena

E’ una storia di strade e di una serata talmente semplice da sembrare quasi particolare o anticonvenzionale.
Tète à tète a tre teste, altrimenti sfuma il pathos.
(questa tastiera non ha l’accento circonflesso. per la precisione)
Lui è il più puntuale:
– alle sette da Zimmer per l’aperitivo, intesi?-
Ci mantiene all’ordine. Trovo traffico intenso da casa mia fino a Voltri.
Venti dei quaranta km da fare passati a schivare camion anarchici e fumiganti, alla faccia dell’Euro Tre.
Poi scendo, un po’ di curve, la strada si inerpica e l’afa marina lascia il posto alla frescura del bosco ceduo.
Asfalto perfetto, da perdercisi in mezzo, diventare striscia bianca, erba patita da ciglio, grumo di conglomerato. Cunetta viscida.
Una strada di casa, per venticinque anni, poi basta. Una strada veloce da domenica a targhino sollevato per dribblare i velox.
Sette e ventidue.
Gente che vedo una volta all’anno da quindici anni. Due sono ingrassati e hanno la buzzetta da benessere, due dimagritissimi. Uno fa Mountain bike, l’altro sono le droghe. Se li pesi tutti assieme, globalmente esercitano una pressione sulla superficie terrestre pari a quella di un tempo.
Hanno in mano calici di vino bianco. Lui mi guarda e dice:
-all’uso sei ancora accettabile, nel tuo solito ritardo, TUA sorella deve ancora arrivare-
Quando fa qualche cazzata è MIA. Questo devo ancora capirlo.
Ha in mano un Negroni. Zimmer il barista ha un pargolo a casa e un passeggino parcheggiato fuori. Gli dico:
-uno anche a me.-
Spinti dalla fame, ci avviamo verso casa sua, dentro quelli che per venticinque anni sono stati i MIEI vicoli.
La Vespa passa, la Kawa no. Rimane in strada.
Quattro piani di scale. La casa ha doppia esposizione, a Nord vedi il Castello che sembra vicinissimo, ne distingui i conci in pietra, uno ad uno. Più in alto c’è il monte che domina il paese. Non rimane quasi più cielo, la gronda taglia alla vista ciò che sta oltre.
Dall’altro lato l’affaccio è su un tetto in tegole rosse. Il resto solo tetti, tutti quanti sotto di noi. aguzzi rossi equidistanti vecchi fradici sublimi.
I miei tetti, prima che mi abituassi alle grigie scandole d’ardesia di Genova.
Arriva lei, scusate per il pacco, il dolce mi ha portato via più tempo del previsto. Ho portato questo vino bianco che ho preso in Trentino l’anno scorso, abbassa lo stereo che qui non ci capiamo nemmeno a parlare e la tua musica mi mette lo sclero.
Donne dettano regole, as usual.
Suddivisione dei compiti: lui ci mette la casa, le stoviglie e il barbera. Paga l’aperitivo.
Io compro e cucino il pesce e ci metto la saggezza dei quarant’anni che il terzo bicchiere risucchia lontano.
Lei pensa a dolce e vino da dessert.
Limoncello e ortaggi sono produzione autoctona. Inizio la preparazione, dirò solo i piatti, pasta corta al sugo di polpo fresco e pomodorini, trancio di salmone alla ligure con pinoli rosmarino e olive, dolce alla pateca che a me non piace ma era così cremoso che non sembrava nemmeno fatto di pateca.
Gewurztraminer, Vermentino.
Ammazzacaffè. Prima del caffè, che salto.
Passi notturni per le vie lastricate, quelle che sono state le mie vie. Fa freddino, in maniche corte si resiste appena. Tutto è ordinato, ristrutturato, perfetto, nessuno oltre noi ha appuntamento al pub irlandese, per l’ultimo bicchiere.
Centro storico da un capo all’altro, una volta per andare al pub si prendeva la vespa, adesso sembra dietro l’angolo, Genova dilata le distanze, gli stessi passi da casa al box, li faccio almeno due volte al giorno.
E’ tutto qui.
Ci guardiamo ridendo e il loro mondo è tutto racchiuso qui,  ho avuto una vita altrove, ma vorrei non essere mai andato via.
Quindici anni da raccontare ai ragazzi appoggiati al bancone. Che tanto ragazzi non sono più. E che vorrebbero andare via.
Poi i saluti, i passi per le scale, un sacchetto di zucchine dell’orto, come prezioso dono.
L’asfalto, al ritorno, gli odori della notte, profumi grati di campagna dormiente che talvolta ho finto di non ricordare, puzza di vacca agli angoli delle cascine, una striscia bianca da seguire e un lume giapponese che scivola veloce tra i moscerini, a riportarmi a casa.
Scollino e mi invade l’odore del mare. Lo guardo luccicare, le navi appese a fili immaginari, come sempre.
Tranquilli, sto arrivando, vado piano.

[on air: Hollow – Pantera]
(a parziale risarcimento)

nn

non ho più voglia di scrivere. si vede?
beh, penso che potrei anche smettere.
penso… pensieri che vanno e vengono.
ad ogni modo la vita scorre.
ciao.

[on air: Kyuss – Space Cadet]